La violazione dell’art. 115 c.p.c. per omissione di specifica contestazione e formazione di prova su fatti incontrovertibili.
La Legge 18 giugno 2009 n. 69 ha modificato l’art 115 c.p.c. che oggi prevede che “salvi i casi previsti dalla legge, il giudice deve (n.d.r. “e non può”) porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti o dal pubblico ministero nonché i fatti non specificatamente contestati dalla parte costituita”.
Si osserva in Dottrina che trattasi di un principio “di diuturna applicazione nelle controversie civili, di importanza essenziale per non rendere impossibile o comunque eccessivamente difficile l’onere probatorio delle parti ed in ispecie dell’attore, per evitare il compimento di attività inutili e quindi realizzare esigenze di semplificazione e di economia processuale”, con il corollario che “il giudice che non porrà a fondamento della decisione un fatto non contestato incorrerà in error in procedendo per violazione dell’art. 115, comma I, c.p.c.” (per tutte, Per tutte, Cass. 5 marzo 2009, n° 5356.)
Il principio comporta che, qualora non siano specificatamente e tempestivamente contestati, i fatti allegati dalla parte debbano essere considerati incontroversi e non richiedenti una specifica dimostrazione (si veda, tra le tante, Cass. 20 novembre 2008 n. 27596 ove la Suprema Corte ha cassato la sentenza di merito che aveva respinto la domanda di accertamento dell’esistenza di una servitù di passaggio sul rilievo che gli attori non avevano allegato alcun fatto costitutivo del diritto stesso, senza tenere in adeguata considerazione che l’esistenza del diritto non era stata contestata dai convenutie che l’unico oggetto del giudizio consisteva nello stabilirne l’estensione e le modalità di esercizio.)
La significa essenzialmente che, a fronte della raffigurazione da parte dell’attore di più fatti in domanda, il convenuto che – pur contestando – non voglia favorire l’attore, è onerato della diversificazione di fatto da fatto; diversamente, egli corre il rischio di vedere una negazione complessiva trattata alla stregua di contestazione generica e, quindi, idonea a sollevare la controparte dai propri oneri probatori.
La Prassi (per tutte, Cass. 27 febbraio 2008, n°5191 e Cass. 21 maggio 2008, n°13078) ha poi risolto la duplice questione di quale sia il termine di decadenza entro il quale la Parte deve assolvere all’onere di specifica contestazione e di come si formi il thema decidendum nel processo.
E’ pacifico che la contestazione debba essere “tempestiva” e che l’ultimo momento utile per contestare tempestivamente i fatti avversari sia la prima difesa utile: “l’onere di contestazione dei fatti si coordina al potere di allegazione dei medesimi e partecipa della sua natura, sicché simmetricamente soggiace agli stessi limiti apprestati per tale potere; in altre parole, considerato che l’identificazione del tema decisionale dipende in pari misura dall’allegazione e dall’estensione delle relative contestazioni, risulterebbe intrinsecamente contraddittorio ritenere che un sistema di preclusioni in ordine alla modificabilità di un tema siffatto operi poi diversamente rispetto all’uno o all’altro dei fattori della detta identificazione”.
Dottrina e Prassi sono infine unanimi nel ritenere che la contestazione sia specifica solo laddove contrasti il fatto avverso con un altro fatto diverso o logicamente incompatibile oppure con una difesa che appaia seria per la puntualità dei riferimenti richiamati e che il principio dell’equivalenza della non contestazione all’ammissione sia efficace se i fatti allegati dall’attore siano vicini o riferibili direttamente (principio di vicinanza della prova)al convenuto.
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