SOMMARIO: I. – Premessa in fatto. II. – Formulazione dei Quesiti. III. – I presupposti per la revoca dell’assegno divorzile. IV. – Il miglioramento economico della Moglie. V. – Le dichiarazioni rese dalla Moglie all’udienza presidenziale. VI. – Convivenza more uxorio (come se si fosse sposati) VII. La liquidazione del t.f.r.. VIII. – Il peggioramento economico del Marito. IX. – Conclusioni.
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I. – Premessa in fatto. Nello stretto ambito di cui al presente parere, occorre premettere che – con decreto datato il 7 febbraio 2009 – il Tribunale omologava l’impegno del marito a corrispondere alla moglie la somma di € 600,00 per il suo mantenimento, condizioni confermate dalla sentenza di divorzio dell’11 settembre 2013, resa sempre a seguito di ricorso consensuale congiunto.
Si precisa anche che, nonostante la pedissequa conferma delle condizioni di mantenimento a carico del marito in sede divorzile, già nell’anno 2011, la moglie aveva iniziato attività di lavoro dipendente a tempo determinato e che, a quanto è dato di sapere, il rapporto è diventato a tempo indeterminato in data successiva al deposito della sentenza di divorzio.
Si tenga poi presente che, a decorrere dall’inizio del 2014, l’onerato al versamento interrompeva il proprio rapporto di lavoro subordinato e ha costituito una società in nome collettivo, i cui utili non sono stati mai distribuiti bensì reinvestiti.
La moglie pare poi intrattenga una nuova relazione sentimentale ormai da due anni, con frequentazione nel week end e, più di recente, anche infrasettimanale in conseguenza del trasferimento della figlia presso il compagno.
II. – Formulazione dei Quesiti. Ci si domanda se, a fronte dell’inizio del percepimento di uno stipendio da parte della moglie a decorrere dal 2011 (e, dunque, in data antecedente alla sentenza di divorzio) – cui si accompagna l’impoverimento del marito conseguente alla mancata redistribuzione di utili sociali a far data dal 2014 (e, dunque, successivamente alla sentenza di divorzio) – sia possibile per il secondo richiedere la revoca dell’assegno di mantenimento, con le dovute precisazioni a) che la moglie pare intrattenga già da due anni altra relazione affettiva; b) che, al momento della regolamentazione degli aspetti economici in ambito divorzile, la situazione patrimoniale della moglie aveva già subito un incremento e che c) è assai probabile che, a fronte del deposito da parte del marito dell’istanza di revoca, la ex moglie richieda in via riconvenzionale l’importo pari al 40% del t.f.r. percepito dal marito. III. – I presupposti per la revoca dell’assegno divorzile. In via generale, è ancora valido, pacifico e costante l’arresto giurisprudenziale ((fra le tante, Cass. 2 ottobre 2007, n°20688)) secondo cui il provvedimento di revisione dell’assegno divorzile riposa 1) sull’accertamento di una modifica delle condizioni economiche degli ex coniugi per la sopravvenienza di giustificati motivi in epoca successiva al deposito della sentenza di divorzio, cui deve coesistere 2) l’idoneità di tale modifica a mutare il pregresso assetto patrimoniale che ha portato all’adozione di un determinato provvedimento di mantenimento nella precedente sentenza di divorzio.
La Giurisprudenza ((Cass.2 maggio 2007, n°10133)) è altrettanto costante nel ribadire che, in sede di procedimento di revisione dell’assegno divorzile “…il giudice non può procedere ad una nuova e autonoma valutazione, sulla base di una diversa ponderazione delle condizioni economiche delle parti e che, ….”nel pieno rispetto delle valutazioni espresse al momento della attribuzione dell’emolumento, deve limitarsi a verificare se e in che misura le circostanze sopravvenute abbiano alterato l’equilibrio così (n.d.r. già) raggiunto e deve adeguare l’importo o lo stesso obbligo della contribuzione alla nuova situazione patrimoniale.” ((Cass. Sez. Unite 7 settembre 1995, n°9415.))
Si è osservato in particolare che, in caso di incremento patrimoniale da parte di uno dei due ex Coniugi, il Giudice – a fronte di una domanda di revisione da parte dell’altro – debba accertare con rigore se, con tale tale miglioramento economico, il Coniuge abbia acquisito la disponibilità di mezzi adeguati e del tutto idonei a conservargli il tenore di vita analogo a quello condotto in costanza di matrimonio. ((Cass. 28 agosto 1999, n°9056)).
IV. – Il miglioramento economico della Moglie. È documentale che, al momento della sentenza di divorzio, la Moglie disponesse di emolumenti maggiori rispetto a quelli coevi al verbale di omologa delle condizioni di separazione ed è altrettanto pacifico che, nonostante ciò, il Marito abbia ugualmente accettato le medesime condizioni di cui alla separazione.
Parrebbe pertanto di logica conseguenza che, sul solo presupposto dell’inizio di un’attività lavorativa da parte della moglie, non sia possibile richiedere la revoca dell’assegno divorzile né, a maggior ragione, la sua diminuzione, poiché – in applicazione del principio sintetizzabile nella formula “il giudicato copre il dedotto ed il deducibile” – il risultato della sentenza di divorzio non può essere rimesso in discussione e peggio diminuito o disconosciuto attraverso la deduzione nella domanda di diminuzione/revoca di questioni che si sarebbero potute proporre nel corso del procedimento di divorzio, anche se il fatto rilevante per la modifica sia stato scoperto solo successivamente.
Al di là del profilo temporale, vi è d’altra parte da tenere in debita considerazione che, nel respingere il ricorso per cassazione del marito, il precedente giurisprudenziale di cui alla nota n°4 ((In senso più ampio e nel senso di riconoscere al Giudice la facoltà di procedere ad una “ rinnovata valutazione comparativa delle condizioni economiche di entrambe” al fine di verificare se i fatti sopravvenuti “ si presentino oggettivamente idonei ad alterare l’equilibrio determinato al momento della pronuncia di divorzio”, si veda Cass. Civ. 23 agosto 2006, n° 18367, secondo cui” in materia di revisione dell’assegno divorzile, allorché a fondamento dell’istanza dell’ex coniuge obbligato, rivolta ad ottenere la totale soppressione del diritto al contributo economico, sia dedotto il miglioramento delle condizioni economiche dell’ex coniuge beneficiario (nella specie dipendente dall’acquisto per successione ereditaria della proprietà e della comproprietà di beni immobili), il giudice, ai fini dell’accoglimento della domanda, non può limitarsi a considerare isolatamente detto miglioramento, attribuendo ad esso una valenza automaticamente estintiva della solidarietà post coniugale, ma – assumendo a parametro l’assetto di interessi che faceva da sfondo, e da risultato, al precedente provvedimento sull’assegno divorzile – deve verificare se l’ex coniuge, titolare del diritto all’assegno, abbia acquistato, per effetto di quel miglioramento, la disponibilità di “mezzi adeguati”, ossia idonei a renderlo autonomamente capace, senza necessità di integrazioni ad opera dell’obbligato, di raggiungere un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio.”)) ha, nel merito, ritenuto che la sopravvenuta stabilità lavorativa della moglie – cui, addirittura, si era accompagnata l’acquisizione in proprietà dell’abitazione – non costituissero circostanze tali da far venir meno l’inadeguatezza dei suoi mezzi di vita (inadeguatezza ritenuta sussistente sin dalla sentenza di divorzio del 1990).
Le ragioni tratte a base di questo convincimento furono che lo stipendio percepito dalla donna era obiettivamente modesto e che i vantaggi dell’alloggio in proprietà erano di molto ridimensionati dagli oneri, anche fiscali che la proprietà comportava ma, circostanza ben più significativa, che trattavasi di miglioramenti che, pur avendo diminuito la precedente inadeguatezza economica della donna, non le avevano consentito di raggiungere un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio.
In altre parole, il miglioramento delle condizioni economiche del beneficiario non aveva provocato la cessazione del presupposto, fissato dall’art. 5, sesto comma, della Legge divorzile, sul quale si fondava il riconoscimento del diritto della moglie al contributo economico.
Anche in sede di revisione dell’assegno divorzile, il dato di riferimento è quindi, il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio.
E’ stato in merito precisato, sin dall’inizio degli anni ’90, che l’adeguatezza dei mezzi cui il coniuge richiedente l’assegno ha diritto deve essere raffrontata ad un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio e che sarebbe presumibilmente proseguito in caso di continuazione dello stesso, o quale poteva legittimamente e ragionevolmente prefigurarsi sulla base di aspettative maturate nel corso del rapporto ((Si vedano anche, tra le ultime, le sentenze nn. 15610 del 2007 e 14214 del 2009)) , precisando che la nozione di adeguatezza dei mezzi postula un esame comparativo tra la situazione reddituale e patrimoniale in atto del richiedente e quella della famiglia all’epoca della cessazione della convivenza, che tenga altresì conto dei miglioramenti della condizione economica dell’onerato anche se successivi alla cessazione della convivenza -, i quali costituiscano sviluppi naturali e prevedibili dell’attività svolta durante il matrimonio e trovino radice in detta attività e/o nel tipo di qualificazione professionale e/o nella collocazione sociale dello stesso onerato.
La precisazione è assai utile, atteso che – alla luce del colloquio intercorso in Studio – è emerso che, in costanza di matrimonio e al momento della separazione, il Suo stipendio era consistente, anche alla luce delle indennità e degli emolumenti accessori (benefits) di prerogativa delle Sue mansioni dirigenziali e manageriali.
V. – Le dichiarazioni rese dalla Moglie all’udienza presidenziale. Come abbiamo visto, a norma della Legge divorzile, la revisione delle disposizioni della sentenza di divorzio relative all’assegno in favore dell’ex coniuge può essere disposta solo ((Si vedano, seppur non recenti, Cass. 23 marzo 2001, n. 4202; Cass. 26 novembre 1998, n. 12010; Cass. 7 settembre 1995, n. 9415; Cass. 29 agosto 1996. n° 7953.)) ove sopravvengano giustificati motivi dopo la sentenza che ha pronunciato il divorzio e la Corte di Cassazione ((Cass. Civ. 2 novembre 2004, n. 21049)) ha statuito che “…i fatti anteriori potranno potenzialmente essere utilizzati, qualora ignorati, ai fini modificativi dell’assegno di divorzio attraverso il rimedio della revocazione, ancorché nei casi tassativamente previsti dall’art. 395 cod. proc. civ. “
Su tale presupposto, la Corte di Cassazione ((Cass. 10 aprile 2012, n°5648.)) ha d’altra parte respinto il gravame del Marito che richiedeva l’annullamento della pronuncia del Tribunale sull’obbligo di mantenimento della ex moglie, poiché – al momento dell’udienza presidenziale – risultava che la donna avesse un’altra relazione e che era in stato di gravidanza; statuirono gli Ermellini che il dolo processuale utile a giustificare la revocazione della sentenza deve consistere in un’attività deliberatamente fraudolenta, concretantesi in artifici o raggiri tali da paralizzare o sviare la difesa avversaria ed impedire al Giudice l’accertamento della verità, facendo apparire una situazione diversa da quella reale, precisando che “…non sono idonei a realizzare la fattispecie descritta la semplice allegazione di fatti non veritieri favorevoli alla propria tesi, il silenzio su fatti decisivi della controversia o la mancata produzione di documenti, che possono configurare comportamenti censurabili sotto il diverso profilo della lealtà e correttezza processuale, ma non pregiudicano il diritto di difesa della controparte, la quale resta pienamente libera di avvalersi dei mezzi offerti dall’ordinamento al fine di pervenire all’accertamento della verità. ” ((Si veda Cass. 20 aprile 2012, n°5648 in parte motiva.)).
Pertanto, considerando anche il fatto che il ricorrente ed anche il suo difensore erano a conoscenza della situazione personale della donna e non avevano sollevato alcun tipo di eccezione nel corso dell’udienza presidenziale, ritennero i Giudici che la mancata opposizione del Marito avrebbe potuto far pensare ad una scelta di tipo processuale rivelatasi, poi, errata.
Quanto al caso in esame, non è difficile declinare tale principio al fatto che l’asserita ignoranza circa l’inizio di attività lavorativa a tempo determinato da parte della Moglie ben potrebbe essere oggetto di contestazione tramite la circostanza che il Marito ne avrebbe potuto avere conoscenza tramite i colloqui e gli incontri con i figli, al tempo convivente con la madre.
VI. – Convivenza more uxorio (come se si fosse sposati). Pur ritenendo che una frequentazione sentimentale infrasettimanale non assurga a convivenza more uxorio (alla maniera degli sposi), per completezza difensiva e seppur in termini riassuntivi, occorre ricordare che si è ritenuto che la convivenza dell’ex coniuge beneficiario dell’assegno di divorzio possa incidere sulla misura dell’assegno divorzile ((Si veda Cass. 8 luglio 2004 n. 12557; già conforme, Cass. 8 agosto 2003 n. 11975. ancora, Cass. 8 luglio 2004 n. 12557 e Cass. 28 giugno 2007 n. 14921.
così, Cass. 8 luglio 2004 n. 12557.)) con la precisazione che “l’assegno di divorzio, in linea di principio, non può essere negato per il fatto che il suo titolare abbia instaurato una convivenza more uxorio con altra persona, salvo che sussistano i presupposti per la revisione dell’assegno […] e cioè sia data la prova, da parte dell’ex coniuge onerato, che tale convivenza ha determinato un mutamento in melius – pur se non assistito da garanzie giuridiche di stabilità, ma di fatto consolidato e protraentesi nel tempo – delle condizioni economiche dell’avente diritto”.
Quanto poi ai caratteri della convivenza, è di Prassi riconoscere che essa sia rilevante laddove riposi su presupposti di continuità e di stabilità, adeguandosi così al modello matrimoniale e che sia onere del coniuge onerato dimostrare che la convivenza influisca positivamente sulle condizioni economiche dell’avente diritto.
La Giurisprudenza richiede dunque la duplice prova a) dei caratteri di continuità e di stabilità della relazione post coniugale e b) del nesso di causalità tra la nuova relazione e il miglioramento delle condizioni economiche del soggetto beneficiario, precisando d’altra parte che tale prova possa “essere data con ogni mezzo di prova, anche presuntiva, soprattutto con riferimento ai redditi e al tenore di vita della persona con la quale il titolare dell’assegno convive, i quali posso far presumere, secondo il prudente apprezzamento del giudice, che dalla convivenza (…) il titolare dell’assegno tragga benefici economici idonei a giustificare la revisione dell’assegno”. ((così, Cass. 8 luglio 2004, n°12557.))
VII. – La liquidazione del t.f.r. A fronte della probabile – se non certa – domanda riconvenzionale di richiesta di parte del t.f.r., è necessario ricordare che la Legge divorzile dispone che il coniuge nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio – se non passato a nuove nozze e titolare dell’assegno divorzile – ha diritto al 40% dell’indennità di fine rapporto, riferita al periodo in cui il rapporto di lavoro si sia svolto durante il matrimonio.
La Prassi ((Si veda, Cass. civ. Sez. I, 17/04/1997, n. 3294, secondo cui “La quota dell’indennità di fine rapporto spettante, ai sensi dell’art. 12 bis l. n. 898 del 1970 (nel testo introdotto dall’art. 16 l. n. 74 del 1987), al coniuge titolare dell’assegno divorzile e non passato a nuove nozze, riguarda unicamente quell’indennità (comunque denominata) che, maturando alla cessazione del rapporto di lavoro, è determinata in proporzione della durata del rapporto medesimo e dell’entità della retribuzione corrisposta al lavoratore; non spetta pertanto al coniuge divorziato una parte di altri eventuali importi erogati, in occasione dalla cessazione del rapporto di lavoro dell’ex coniuge, ma ad altro titolo (nella specie a titolo di incentivo all’anticipato collocamento in quiescenza).)) ha precisato che esso rileva in relazione alla retribuzione in senso tecnico ((In tal senso si era anche pronunciata la Cass. Civ. 11 aprile 2003, n°5720.)) tipica del rapporto di lavoro subordinato pubblico o privato e che non può pertanto essere estesa ad istituti di diversa natura preminentemente previdenziali o assicurativi, aventi origini da rapporti di lavoro non subordinato o di natura privata; di talché, si ritiene che non rientrino nel T.F.R. le varie l’indennità di cessazione dal servizio, corrisposte a taluni professionisti, accumunate al T.F.R. in senso stretto solo per la scadenza e cioè versate al momento della cessazione dell’attività nè le altre indennità che, per il contratto specifico di lavoro applicato, vengono attribuite al dipendente al momento della cessazione del rapporto.
VIII. – Il peggioramento economico del Marito. Quanto alla fattispecie in esame, è indubbio che i motivi sopravvenuti delle dimissioni del Marito nonché della successiva decisione di non distribuire utili aziendali siano tali da giustificare, in astratto, un provvedimento di revisione e, quindi, che il depauperamento economico che ne è derivato è oggettivamente idoneo ad alterare l’equilibrio già determinato al momento della pronuncia di divorzio, con la dovuta precisazione che la Prassi ((Cass. 11 marzo 2006 n. 5378, in Foro it., 2006, I, 1361; analogamente Cass. 3 agosto 2007 n. 17041 in Fam e dir., 2008, 577.)) ha recentemente ritenuto che la riduzione del reddito dovuta a scelte volontarie del soggetto tenuto al versamento dell’assegno di divorzio sia comunque idoneo ad assurgere quale giustificato motivo di riduzione o sospensione dell’assegno.
IX. – Conclusioni. In conclusione, dalle considerazioni che precedono, ritengo discenda il prudente convincimento che, ai fini della revisione dell’assegno divorzile, non possano essere invocate le circostanze del percepimento di reddito da parte della Moglie né la di lei frequentazione con altro uomo, costituendo invece la trasformazione in pejus della situazione patrimoniale del Marito, presupposto su cui fondare la domanda di revoca dell’assegno divorzile.
Ritengo infatti che, anche a volere considerare il silenzio della Moglie in sede divorzile come elemento di malafede tale da costituire presupposto per la revocazione della sentenza di divorzio, alla luce dei precedenti giurisprudenziali declinati al tenore di vita e al menage familiare di cui é parere, non pare che emolumenti stimabili in € 1.300,00 costituiscano sostanze tali da consentire alla moglie di raggiungere un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio né che la relazione di cui si é accennato rechi i requisiti di stabilità cui la Legge subordina la revoca dell’assegno.
Su tali soli presupposti, eventualmente e subordinatamente, potrà aversi luogo per una riduzione dell’assegno divorzile.
Sul presupposto invece della diminuzione (rectius, estinzione di reddito) – cui si accompagna ad oggi la scelta di vivere dei risparmi conseguiti – , ritengo invece che possa formularsi una prognosi positiva circa la possibilità di richiedere la revoca – o, quanto meno, una sensibile riduzione – dell’assegno divorzile.
In conclusione, consiglio prudentemente di formulare una richiesta di revoca dell’assegno divorzile – e, solo subordinatamente, di riduzione – sul presupposto che “…la sopravvenuta diminuzione dei redditi da lavoro dell’obbligato è suscettiva di assumere rilievo quale possibile giustificato motivo di riduzione o soppressione dell’assegno, ai sensi dell’articolo 9 della legge n. 898 del 1970 – nel quadro di una rinnovata valutazione comparativa della situazione economica delle parti e in quanto risulti oggettivamente idonea ad alterare l’equilibrio determinato al momento della pronuncia di divorzio…” e su quello – di efficacia persuasiva assai limitata per i motivi dedotti ex supra – che, comunque, la situazione patrimoniale della Moglie è complessivamente migliorata.
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